Testa bassa e pedalare

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Milano cade a Madrid e non può essere una notizia. Lo fa in modo encomiabile, per quanto le belle sconfitte non siano nulla, del tutto inutili anche di fronte alle brutte vittorie. Brutta è la vittoria del Real Madrid, farcita di alcune cose rivedibili sia tecnicamente (difesa inguardabile), che altrove. Ma vale 1 W, è quel che conta.

Alla vigilia della sfida interna del prossimo turno contro un Darussafaka in difficoltà, l’Olimpia, vincendo a Madrid, avrebbe potuto tenere accesa la fiammella della speranza, tuttavia è bene essere realisti: non possono esistere rimpianti per chi ha perso 10 partite di fila di cui almeno 3-4 da vincere ed uno stesso numero del tutto indecenti. Ma è lo sport, è il gioco, è la vita: si entra in alcuni tunnel all’interno dei quali pare non potersi mai scorgere alcuna luce, paiono infiniti e con le sembianze del buco nero. Questo è stato per Milano in due mesi, la luce si è intravista con il Fenerbahce, è rimasta viva dopo Cantù, sebbene contro avversario di nessun peso, è fragorosamente sparita a Mosca per poi lentamente riapparire contro il Galatasaray e diventare quasi abbagliante di fronte all’Olympiakos.

«Sembriamo sempre di più una squadra rispetto agli ultimi due mesi». Parole e musica di Jasmin Repesa, inequivocabili. Rimpianti? Giochino inutile ed il coach lo sa bene quando sottolinea che a questo livello non si possono commettere questi errori. Detto che con la prova di ieri si sarebbe vinto probabilmente con tutti, è altrettanto vero che si è giocato in pieno territorio madrileno: ritmo troppo alto per batterli, ma di contro le migliori versioni Olimpia vengono in questo modo, quindi difficile provarci percorrendo altre strade. Ad inizio stagione, quando alcune prove lasciarono pensare ad una concreta possibilità di lottare per i Playoff a pieno titolo, sottolineammo l’importanza dei dettagli in competizioni come questa, così come in ogni contesa di alto livello. Milano a Madrid ha perso solo ed unicamente per questo: un numero troppo alto di dettagli fondamentali. Sia chiaro che in campo, come ovunque, si sbaglia : limitare al massimo il numero di errori è la chiave in positivo, allungarne la serie rende la vittoria impossibile. La sfortuna? E’ parte terminante del vivere quotidiano di chiunque: quando diventa alibi, però, è la fine.

Lo 0-2 di Macvan sull’85-83 a 3’24”, la penetrazione regalata a Llull per l’87-85 ad 1’45”, la palla vagante non arpionata che finisce in mano ad Ayon per il +4 a meno di un minuto dal termine, due contropiede concessi in cui Simon cammina invece di provare a contrastare chi conclude in facile layup, una rimessa regalata da Hickman: sono solo alcuni, i più eclatanti, tra gli aspetti negativi fondamentali della serata. Non si accusa nessuno, non si esalta nessuno: nel momento più nero sostenemmo la piena condivisione delle responsabilità tra società, staff e giocatori, quindi oggi, quando pare se ne possa uscire brillantemente, la situazione è la stessa. Quegli stessi dettagli sono stati la forza di Milano 48 ore prima contro quelli del Pireo, quando le palle vaganti cadevano nelle mani milanesi: ecco la differenza tra W e L.

La squadra di Repesa ha giocato bene, sicuramente facilitata da un Real difensivamente pessimo: ritmo, intensità offensiva, taluni momenti (ancora troppo pochi) di grande sforzo comune in difesa. Ma  soprattutto costante presenza sui 40 minuti, senza sciogliersi come neve al sole alla prima difficoltà, come avvenuto regolarmente nelle ultime nove settimane. Come contro Spanoulis e soci, la miglior versione milanese è quella con Cinciarini e Kalnietis a spartirsi i compiti di regìa. Nella pallacanestro di oggi uno dei due dovrebbe metterla con continuità dall’arco: è un limite cui dovrebbe sopperire Ricky Hickman, ma ciò non solo non avviene, ma crea grandissimi problemi di circolazione di palla e di tenuta difensiva, con quest’ultimo in campo. Il giocatore è in grave difficoltà, è evidente: di certo non è un campione, ma non può essere nemmeno la tassa fissa che costa al suo quintetto regolarmente. Avesse messo la tripla del +8 a 6’51” sul 74-79 forse staremmo parlando di grande vittoria grazie al suo 6-0, ma torniamo lì, il gioco è questo. Sicuramente è ruolo in cui un ragionamento va fatto, magari proprio con l’uomo stesso, chiarendo gli obiettivi, che debbono essere comuni.

Se Rakim Sanders fornisce prova ad intermittenza in cui i periodi di buio sono ben più lunghi di quelli di luce (appena rientrato, ma è solo quello?), Kruno Simon brilla come non mai: oggi lui può essere la guida, mentre per usare la parola leader sarebbe necessario dare un occhio al proprio uomo quando va in contropiede. Per il resto è poesia ed a 31 anni potrebbe non essere tardi per dare un senso diverso alla propria carriera. «Se Milano vuole provare a competere nei Playoff di Eurolega ed in ottica Final Four non può basarsi su Kruno Simon». Sono parole di un competentissimo conoscitore del gioco: sta all’uomo Simon ribaltare il giudizio. Se lo vorrà.

Fiducia è la parola chiave della serata e del periodo recente. Nelle terribili settimane tra la metà di novembre e la metà di gennaio accennammo ad una certa fragilità emotiva del gruppo: credo il tutto venga oggi chiarito da come possano girare le cose, di fronte a situazioni che vengono vissute in modo più positivo. Fiducia è tutto, fiducia è linfa vitale: ma sia chiaro, viene tutto dal lavoro e la squadra milanese pare oggi un gruppo che lavora meglio. Ne derivano compattezza, unità (quasi) totale di intenti, indirizzi tecnici più chiari. Anche qui aiutano le sottolineature di Repesa in conferenza stampa: «Ci alleniamo meglio e stiamo in campo molto meglio». Lavoro che deve soltanto continuare in questa direzione, perché una migliore condizione fisica porta ad una maggiore lucidità di esecuzione. Lucidità e chiarezza di intenti che danno la suddetta fiducia, limitando l’influenza di una fragilità emotiva di base che forse c’è, ma su cui si può lavorare. Testa bassa e pedalare, perché l’Olimpia non è quella di dicembre ma non vale nemmeno Real ed Olympiakos: se ci si vuole avvicinare lo deve solo volere. In palestra.

Non abbiamo mai accennato agli arbitri e non lo abbiamo fatto per una questione di convinzione e cultura dell’odio dell’alibi. Continuerà ad essere così, con l’eccezione di oggi. Talune partite a Madrid ed Istanbul, sponda asiatica Fenerbahce, ci costringono ad un accorato appello alla dirigenza di Eurolega: abbiamo di fronte lo scempio calcistico in questo senso, lo chiediamo col cuore, stiamone fuori. La sudditanza esiste ovunque, ma non facciamone regola, altrimenti il giochino si rompe. Tre, quattro chiamate di ieri sera sono assolutamente dettate da un trasporto che esula dalle capacità tecniche dei “grigi” (si chiamano così anche se sono vestiti diversi, Aldo Giordani docet): nelle mille riunioni che il Board di Bertomeu ama tenere, è un tema da sviluppare, per il bene di una competizione fantastica. E non mi si parli di ambiente “carico” che influenzerebbe perché  ad esempio,  a Belgrado, ciò non accade.

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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