Dentro l’ennesima crisi del Panathinaikos: l’istintività di Giannakopoulos, il mistero dell’assistente Usa e i nomi per la successione

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Record 1-1 in campionato, 1-0 in Eurolega, ma l’avventura di Argyris Pedoulakis al Panathinaikos si ferma qui, dopo la pesante sconfitta con l’Olympiacos di lunedì sera. E’ il secondo esonero per l’ex guardia del Peristeri ad Atene, allontanata già l’8 marzo 2014 dopo una sconfitta con il Baskonia in Eurolega, e il rischio di rimanere fuori dai playoff nel girone dominato dal Barcellona e dall’Olimpia Milano di Luca Banchi.

Richiamato da Dimitrios Giannakopoulos il 20 aprile 2016, Pedoulakis aveva già scampato miracolosamente il taglio dopo la sconfitta nella finale scudetto con l’Olympiacos, un’assoluto privilegio in una società che per la quarta volta consecutiva non chiuderà la stagione con la medesima guida tecnica della gara di esordio. E’ capitato nel 2013-2014, da Pedoulakis a Alvertis (titolo greco). Nel 2014-2015, da Ivanovic a Manolopoulos. Nel 2015-2016, da Djordjevic a Pedoulakis appunto.

Un privilegio, non una garanzia, come raccontano le ultime giornate convulse di questo 2.0. Prima una manata di Mike James contro una struttura in plexiglass, con conseguente ferita alla mano e stop di un paio di mesi. Poi le tempistiche dilatate della trattativa di Omar Cook, improvvisamente voglioso di ridiscutere un contratto precedentemente accettato. Ancora la prestazione in Eurolega contro lo Zalgiris, una magra prova all’Oaka resa vincente dalle giocate chiave di Nikos Pappas e Chris Singleton. Infine l’Olympiacos, con 37’ di costretta accettazione della sconfitta.

Una situazione «allo sbando», che si è intravista in un chiacchiericcio dentro e fuori gli spogliatoi tra Ioannis Bourousis e Dimitrios Giannakopulos. 

L’esito? La convocazione negli uffici societari di Pedoulakis per la mattinata di martedì. In estate, le parti avevano trovato l’accordo con una piccola clausola contrattuale: l’inserimento, nello staff del coach greco, di un assistente di provenienza Nba chiamato a gestire il sistema offensivo. Una soluzione accettata in silenzio da Pedoulakis, forse con la consapevolezza che il tutto sarebbe rimasto solo su carta. Così in effetti è stato, sino a martedì, quando Giannakopoulos ha tirato nuovamente fuori la clausola per poi proporre, si presuppone, l’identità dell’assistente. Una situazione rifiutata da Pedoulakis (si parla di urla udibili sin negli uffici dell’Aek Atene, vicini a quelli del Panathinaikos), con dimissioni presentate e subito accettate.

E si arriva al presente. Il Panathinaikos si trova di fronte ad una decisione il cui peso specifico non sta tanto nel nome, quanto nell’idea. Dall’estate 2012, dall’addio di Zelimir Obradovic, la società «green» non è stata in grado di garantire e garantirsi una stabilità tecnica dell’assetto sportivo, e certamente l’avvicendamento sulla poltrona strategica tra Pavlos e Dimitrios Giannakopoulos, uomo quanto meno istintivo, non è passaggio casuale ma causale. Ora, dopo due stagioni perdenti e l’addio di Dimitris Diamantidis, la colpa si fa da codice penale, perché in campo non c’è una squadra costruita per il futuro, ma per vincere subito e in fretta.

Quindi? I nomi. Pini Gershon è candidatura autoimposta, visto che il «santone» di Tel Aviv, oggi commentatore per la tv israeliana, ha sempre denotato grande abilità nella gestione dei media, come quella voce che lo volle in casa Olimpia Milano dopo la fine dell’era Scariolo. C’è Xavi Pascual, oggi il nome più «pesante» sul mercato europeo. Dopo otto anni di gestione individuale del «colosso» Barcellona, l’uomo di Gavà avrebbe, comprensibilmente, chiesto massime autonomie a Giannakopoulos, ricevendo in cambio una promessa di riflessione, a prescindere da un contratto ancora in corso con i blaugrana, e quindi tutto da ridefinire (30 giugno 2017 la scadenza). Nessuno avrebbe invece contattato ancora Luca Banchi, spinto dai media greci e certamente uomo in grado di dare un’immediata identità alla squadra, incentrata su difesa e transizione. Sasha Obradovic venne cercato due estati or sono, Jonas Kazlauskas è l’uomo per tutte le stagioni. Poi, persone ben informate, si giocherebbero anche la carta Dimitris Diamantidis. Ma, diciamocelo, ogni nome è buono. Conta l’idea, non il nome. Attendiamo.

Alessandro Luigi Maggi

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