Il futuro: una grande Eurolega con squadre senza campionati nazionali?

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Credo che l’Eurolega continuerà a crescere arrivando a contare più di 20 squadre nei mercati più importanti dell’Europa e dei Paesi vicini. Mi aspetto una stagione da 60-70 partite seguita da vere serie-playoff complete. Standard ancora più alti in termini di condizioni di viaggi, gioco, calendario e infrastrutture. Se vuoi essere il miglior prodotto cestistico in Europa, devi meritartelo. E penso che l’Eurolega possa raggiungere questo livello.

Alec Peters, giocatore dell’Olympiacos e membro del consiglio di ELPA

Alec Peters è entrato a far parte del consiglio di ELPA (l’Associazione dei giocatori di Eurolega) a fine settembre. Lo ha fatto con pensieri rivoluzionari, ereditati dal sistema NBA in cui ha cominciato la carriera nel 2017. Peters è oggi alla sua quinta stagione da giocatore in Eurolega. Ha vinto un titolo da rookie al CSKA Mosca. Guidato la classifica con il meraviglioso Efes nell’anno del break per la pandemia. Ha proseguito per altri due anni a Baskonia e ora è stato scelto dall’Olympiacos per consolidare la squadra che ha raggiunto le Final Four nella scorsa stagione.

Insomma, un giocatore di scuola americana ma ormai perfettamente inserito nell’ambiente sulla sponda orientale dell’Atlantico. Un giocatore che ha vissuto in maniera diretta la crescita qualitativa dell’Eurolega negli ultimi anni, dopo la creazione della regular-season a girone unico, e che non rimpiange la chance mancata nella sua prima annata da professionista con i Phoenix Suns. Anzi, che vede un’Eurolega destinata a crescere sempre più e, soprattutto, capace di fondere l’altissimo livello sportivo con un management economico e strategico di prim’ordine. In sostanza, un campionato per grandissimi giocatori e club in grado di generare passione, intrattenimento e profitti.

L’huddle dell’Olympiacos Pireo

Un’Eurolega in continua espansione verso nuove piazze e mercati

Nelle scorse settimane abbiamo visto come Eurolega stia già virando verso un’interpretazione legata alla ricerca, creazione e sfruttamento di grandi e nuovi mercati europei. Tutte le mosse degli ultimi due anni si inseriscono in questo filone. L’allargamento delle licenze pluriennali ad Asvel (già avvenuto) e Alba (in fieri). Il forte interesse per inserire anche l’AS Monaco con la sua proprietà milionaria e pronta a investire.

Ma anche la possibilità di ripescare dall’Eurocup, oltre alla piazza storica di Bologna, anche Valencia e Partizan Belgrado, due club con una fan-base enorme e strutture di alto livello. L’espansione in nuovi mercati vergini in Eurocup, con l’accoglimento del Paris Basketball e dei London Lions e l’inglobamento, dalla FIBA Champions League, di Prometey e Cluj. Il progetto futuristico di una testa di ponte a Dubai, primo tentativo di espandersi oltre i confini geografici del continente guardando alle possibilità economiche del ricco Medio Oriente.

Oggi abbiamo un’Eurolega che comprende 18 squadre e una regular-season da 34 partite che copre 6 mesi con diversi doppi turni infrasettimanali. L’idea, poco segreta, è di portarla presto a 20. Il CSKA Mosca, detentore di una licenza di lungo periodo, è destinato a rientrare. La nuova franchigia di Dubai potrebbe essere proprio la ventesima. Senza dimenticare la promozione spettante alla squadra campione di Eurocup. Allargare il parco-squadre è una conseguenza naturale dell’evoluzione verso l’alto del sistema.

D’altronde, chi far retrocedere dei club attualmente in gioco? L’Alba avrà una licenza pluriennale. La Virtus si merita un posto stabile e lotterà per averlo. Valencia è una piazza che Eurolega ha sempre voluto tutelare. L’AS Monaco una squadra molto futuribile. Partizan e Stella Rossa due team che raccolgono un numero stellare di fan, il più alto dell’intero torneo. La risposta è semplice: nessuna retrocessa. Il sistema si allarga.

L’huddle dei London Lions durante una partita di pre-season

Una grande Eurolega da 70 partite senza campionati nazionali?

Come previsto da Alec Peters, l’Eurolega è destinata a raggiungere e superare le 20 squadre partecipanti nel prossimo futuro, esplorando e inglobando nuovi mercati. La forza e la qualità del torneo è ora talmente grande da far retrocedere sullo sfondo l’idea ormai vetusta (e mai realmente vagliata) di una Division NBA in Europa. Erano altri anni. Anni di un’Eurolega diversa e di una NBA diversa. Capace di esercitare un fascino maggiore in un ambiente con una minore forza local.

Ma l’ampliamento futuro sottintende una domanda di base: come gestire il nuovo campionato? La risposta più semplice sarebbe la divisione a gironi, magari in due grandi raggruppamenti Est/Ovest su stampo NBA. Una soluzione che permetterebbe di ridurre il numero di partite, di viaggi e alleggerire il carico lungo l’intera stagione. Ma che, presto o tardi, andrebbe a ripresentare gli stessi problemi che nel 2015-16 hanno portato alla creazione del torneo a girone unico: non è positivo né interessante avere squadre che non si incrociano mai. O molto raramente.

Peters studia un’Eurolega con una fitta regular-season di stampo NBA da 60-70 partite. Un numero accettabile, lo stesso che ormai auspicano anche tanti coach d’oltreoceano per alzare il livello di una prima parte di stagione troppo annacquata per l’eccessivo stress fisico. Ma il raddoppio del numero delle gare e l’eventuale inserimento di serie di playoff complete apre a un’altra questione: come gestire i campionati nazionali?

Kevin Pangos lotta per il pallone con Daniel Hackett nel derby di Eurolega tra EA7 Emporio Armani Milano e Virtus Segafredo Bologna.

Molte voci, sollevatesi anche nelle ultime settimane di fronte all’ennesima e ruvida concomitanza con gli impegni delle finestre FIBA, propongono di esonerare i team di Eurolega dalla regular-season dei rispettivi campionati regalando già i pass per i playoff. L’idea è apprezzabile, ma anche poco rispettosa nei confronti delle squadre non impegnate nel massimo continente europeo. E allora, per un progetto così rivoluzionario e futuristico di un’Eurolega totale, perché non andare all-in staccando completamente le squadre partecipanti dai rispettivi campionati nazionali? Essendo Eurolega un torneo chiuso, o a invito, non muterebbero i requisiti per l’ingresso, slegati dal mero risultato sul campo ma strettamente connessi alla struttura finanziaria, gestionale e futuribile dei club.

L’ampliamento del parco-squadre permetterebbe, a differenza della NBA, di avere sì un sistema continuo di retrocessioni/promozioni dall’Eurocup, e uno scambio tra squadre incapaci di tenere un certo standard qualitativo con nuovi club in crescita. L’Eurocup rimarrebbe come laboratorio in cui esplorare e sperimentare la qualità di nuove piazze e mercati, alzando il proprio livello e fungendo da reale campionato di preparazione per un eventuale ingresso al piano superiore. Sarebbe dunque l’Eurocup il torneo europeo di riferimento per le squadre rimaste a competere nei campionati nazionali, un obiettivo da raggiungere e da intendere come chiave per aprire, in futuro, le porte del Paradiso di Eurolega.

È un’idea di rottura eccessiva con il sistema? Forse. Ma nel basket di oggi, globalizzato all’estremo, ha ancora senso ragionare a livello di singolo Paese o il futuro è abbracciare l’Europa (e oltre) nel suo insieme più grande?

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