Corsolini contro Corsolini #6: Nba fare, Lba aspettare

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Corsolini contro Corsolini #6: l’Nba scopre l’Africa, noi non siamo neanche andati a Jerusalema. Lettera di desideri per la nuova stagione: ce la facciamo a ragionare insieme o vogliamo continuare in ordine sparso? Soprattutto, se non partoriamo idee innovative, siamo almeno capaci prendere spunto da chi ne sforna a getto continuo?

Corsolini L: comunicazione e latino per cominciare stavolta. La prova del nove in comunicazione è una domanda che può essere posta in due modi diversi. Se uno chiede “hai capito?” in realtà chiude subito il dialogo perché addossa all’altro la responsabilità di aver capito. Se uno invece chiede “mi sono spiegato?” riconosce all’interlocutore il diritto di ricevere una spiegazione migliore, il dialogo si sviluppa alla pari.

Il latino poi: verba volant, scripta manent. Le parole scritte restano, se poi come capita a me sei un collezionista seriale non di ritagli, ma di pagine intere di giornale, le stesse parole ti fanno venire ogni volta il nervoso. Corriere della Sera di mercoledì scorso. Sottotitolo di un articolo dedicato a Roma capitale senza serie A. Petrucci: “La politica non capisce l’effetto di una squadra forte”. È sempre colpa degli altri che non capiscono, mai una volta che noi ci impegniamo in una spiegazione.

Corsolini R: Vediamo se ho capito. L’Nba che dedica tutta la bolla di Orlando al tema Black Lives Matter, che si impegna a essere lega sportiva ma anche sociale, non chiede se abbiamo capito la gravità del problema. Ci spiega come fare, oltre tutto con un italiano nel sindacato giocatori, Matteo Zuretti, dando a ognuno la possibilità di partecipare al dibattito. Poi ci fa pure un esempio, concreto, e presenta il progetto BAL (Basketball Africa League) che si giocherà interamente a Kigali, capitale ruandese, fino a quando, superata la pandemia, tornerà all’idea originaria di rendere la Lega itinerante.

Una organizzazione come l’NBA è un punto di riferimento per qualsiasi lega sportiva, non solo del basket. Luna per molti, ma matrice di idee per tutti. Ciò che si potrebbe importare, tra i tanti esempi, è il pensare costantemente a raggiungere l’esterno, senza pensare rigorosamente a ciò che succede nel solo contesto USA. Internazionalizzarsi, puntando ad esportare il proprio modello, come accadrà in Africa a maggio. L’NBA ha cominciato a uscire dai confini Usa nell’87, con David Stern e continua a farlo con Adam Silver portando avanti un progetto da più di 30 anni, anche con qualche problema come quello con la Cina che ha anticipato tanti altri guai.  A te cosa interessa?

Corsolini L: io ho sempre in mente Mourinho. Quando dice: chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio. Frase perfetta per quei tuoi coetanei che sanno tutto di Nba senza essere mai stati negli USA, e magari senza neanche essere stati alla Misericordia o al Palamaggiò. Il mondo è grande e largo anche durante questo lockdown delle idee. Per un consiglio federale del basket in cui si chiede ripetutamente a Umberto Gandini, senza che lui risponda, se sta per andare alla Roma, c’è un Massimo Righi, primo candidato per la presidenza della Lba, e poi ricusato proprio perché aveva indicato una direzione, che dimostra come si può fare.

Blocco delle retrocessioni, playoff allargati, giocatori e tutti, compresi quelli che sistemano il campo, chiamati alla condivisione del compito più difficile: la sopravvivenza. Mi fa venire il nervoso chi pensa che la prossima stagione sarà una ripartenza, sarà e dovrà essere un nuovo inizio. Basketball Lives Matter il manifesto, lo abbiamo già detto, ma metodi NBA o, se vogliamo, Lega Volley: più condivisione, più coraggio, basta manfrine autoreferenziali, regole nuove subito. E anche, ad esempio, una social room in tutti i palasport. Spazio alle idee: di tutti, non di pochi.

Corsolini R: penso che la condivisione delle idee e degli intenti sia un miraggio che tanti, come me, hanno smesso di rincorrere. In molti abbiamo creduto che questa situazione di crisi, mai affrontata prima e forse più pesante dell’abbandono delle “famiglie imprenditoriali” del basket, potesse essere un’occasione per ripartire e cominciare a ricostruire un movimento che già prima della pandemia era pesantemente pieno di crepe.

Non è stato così. Tante sono state le proposte e idee su come ristrutturare il palazzo, nessuno dei condomini ad alzare la mano per votare, se non per rimandare e rimandare, così come sta succedendo ora. Mesi trascorsi a chiederci se cambiare in corsa si potesse fare. Quindi c’erano tanti “come fare” sul piatto, nessun “chi” a scegliere quale. L’unica certezza è che il quando dovesse essere sempre domani, mai oggi.

Hai citato la Lega Pallavolo che nel coraggio di cambiare, in corsa o meno, ci sta dando lezioni da qualche anno. Quindi si tratta anche di adattarsi al cambiamento, quando tante sono le difficoltà ad innovarsi. Invece che guardare sempre la Luna, prendiamo esempio dai nostri vicini di casa. Una decisione è stata dovuta dalle circostanze esterne, quella di annullare la stagione 2019/2020 e neanche questa è stata condivisa da tutti. Ripartenza, magari è un termine che non ti piace, ma dopo il fermo di questi mesi penso sia l’unica cosa da fare. Idee sì di tutti, ma anche il coraggio di poterle portare avanti, insieme.

Corsolini L: mi conosci bene. Non mi piace parlare di ripartenza, perché solo se saremo capaci di una partenza nuova, corretti gli errori che abbiamo scoperto, affrontati quelli che non ci aspettavamo nemmeno fossero degli sbagli, potremo dare un senso alla prossima stagione. Una cosa che mi ha sempre stupito quest’anno, e non solo nelle partite italiane, è che non è mai cambiata la liturgia, come se non fossero cambiati i contenitori, essendo i palasport improvvisamente vuoti per le urla degli speaker, per la presentazione delle squadre di casa a luci spente e poi con occhio di bue.

Quando sono cominciate le partite andava di moda, se ricordi, la Jerusalema Challenge, e io mi aspettavo che un preparatore atletico modificasse il riscaldamento della sua squadra. Una serie di esercizi con Jerusalema in sottofondo e magari finivamo nei tg e sulle prime pagine dei giornali. Insomma, per me serve un guizzo, qualunque cosa pur di non appisolarci nella routine che il Covid ha svelato essere il nostro limite. Mi piacerebbe ci fosse una social room aperta in ogni palasport per la gente del basket per un censimento delle idee.

Mi piacerebbe sentire cosa pensano giocatori e tecnici che sono stati, specie i primi, fin troppo zitti, velocissimi poi a denunciare i ritardi delle società che mai come stavolta erano se non leciti almeno comprensibili. Mi piacerebbe che ogni squadra di A, maschile e femminile, addottasse almeno una mezza dozzina di squadre giovanili non direttamente collegate al club. Mi piacerebbe che tutti potessero leggere un libro di Alex Wolf: The Audacity of Hoop, che potremmo tradurre liberamente col titolo Il circolo del basket.

Racconta gli anni di Obama alla Casa Bianca, anni in cui il basket è stato quello che è stato il calcetto prima ed è il paddle oggi da noi: una moda travolgente, un circolo non esclusivo che esalta ogni componente. Ci serve l’audacia dei Master che fanno diventare una moda e un’abitudine la partitella alla sera, e ci serve che qualcuno al vertice capisca quanto manca il basket alla base del movimento che non si è sentito solo, perché in ottima compagnia della passione, ma ha capito di essere lontano più di quanto pensava, più di quanto merita, dalle vetrine spente della Serie A.

Prossimo Corsolini contro Corsolini il 12 aprile

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Riccardo Corsolini

Appassionato di Sport in generale, nato e cresciuto con la pallacanestro in testa e nelle mani. Scrivo della mia squadra e di Eurolega su Eurodevotion, tentando di prendere il ferro.
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